Tutela dell’occupazione in Italia: la proroga del divieto di licenziamento

L’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) italiano, in un recente rapporto pubblicato in Aprile, ha fatto emergere un quadro preoccupante circa i dati sull’occupazione in Italia con particolare riferimento alla crisi sanitaria, svelando una drammatica perdita di 945,000 unità (in termini di occupati) nel confronto tra il febbraio 2021 e 2020.

Al fine di contrastare il fenomeno e prevenire l’aggravarsi della crisi occupazionale legata all’emergenza epidemiologica ed alle connesse restrizioni allo svolgimento di attività commerciali, il Governo italiano è intervenuto sin dal marzo 2020 su una duplice direttiva, ossia (1) dichiarando illegittimo l’esercizio della facoltà di risoluzione unilaterale dei contratti di lavoro (licenziamento) per giustificato motivo oggettivo; (2) consentendo il ricorso alla cd. Cassa integrazione guadagni, al fine di garantire la sostituzione (o l’integrazione) della retribuzione con un’indennità versata dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS).

Tale divieto è stato diversamente disciplinato dai vari provvedimenti succedutisi, e da ultimo riformato dal recentissimo decreto Sostegni bis (D.L. n. 73/2021), pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 25 maggio 2021.

La principale novità del predetto Decreto è data dalla distinzione tra le imprese che non avranno più necessità di ricorrere alla CIG Covid-19, che non saranno più soggette al divieto di licenziamento a partire dal 1° luglio 2021, da quelle che continueranno a ricorrere allo strumento della Cassa integrazione ordinaria, anche dal primo luglio, impegnandosi a non licenziare fino al 31 dicembre 2021.

Ad ogni modo, tale divieto riguarda soltanto situazioni di giustificato motivo oggettivo, per tale intendendosi situazioni oggettive che riguardano l’impresa e non la persona del lavoratore, e con espressa esclusione delle situazioni oggettive di cessazione definitiva dell’attività d’impresa; di messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività; della stipula di un accordo collettivo aziendale d’intesa con le organizzazioni sindacali più rappresentative, prevedente incentivi per la risoluzione del rapporto; di fallimento.

Dall’esclusione dei motivi di giustificato motivo soggettivo (e giusta causa) deriva invece che il datore di lavoro potrà sempre comminare il licenziamento per motivi disciplinari, nonché per le altre fattispecie soggettive che legittimano per legge la risoluzione del rapporto, come ad esempio il superamento del periodo di comporto (ossia, il periodo di tempo durante il quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, nonostante l’esecuzione della prestazione venga sospesa per fatto inerente alla sua persona, es. per malattia). Rimane inoltre consentito il licenziamento, senza obbligo di motivazione, del dipendente durante il periodo di prova.

Si ricorda altresì che i licenziamenti intimati in violazione del divieto imposto dalla disciplina Covid-19 sono nulli e comportano la reintegra in azienda del lavoratore interessato e la condanna, per il datore di lavoro, al risarcimento del danno subito per il periodo successivo al licenziamento e fino alla reintegrazione e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per tutto il periodo intercorrente fra il licenziamento e la reintegrazione.

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