L’effettività del trasferimento all’estero ai fini fiscali: recente orientamento della Suprema Corte

In base alla legislazione italiana, ed in particolare in base al Testo Unico delle Imposte sui Redditi (“TUIR”), le persone fisiche che producono redditi in Italia, anche se residenti all’estero, sono tenute a dichiararli all’amministrazione finanziaria, salvo i casi di esonero previsti espressamente dalla legge stessa.

In particolare, i soggetti residenti sul territorio italiano, in base al principio della “tassazione universale” previsto dall’art. 3 TUIR, sono tenuti a dichiarare in Italia (e a pagare le relative imposte) su qualsiasi reddito prodotto, anche se di origine estera.

Ai fini fiscali, si considerano residenti sul territorio italiano i soggetti che, per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni o 184 se anno bisestile), sono iscritti all’anagrafe della popolazione residente oppure hanno nel territorio nazionale il domicilio o la residenza. Si precisa però che, al fine di evitare la doppia imposizione, se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti in un Paese terzo, le imposte pagate in detto Paese a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta in Italia, nei limiti previsti dall’art. 165 TUIR.

Diversamente, i soggetti non residenti in Italia sono tenuti a dichiarare all’amministrazione finanziaria italiana (e a corrispondere le relative imposte) soltanto i redditi prodotti sul territorio italiano.

I cittadini italiani che trasferiscono la propria residenza all’estero sono tenuti ad effettuare l’iscrizione all’AIRE, ossia all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (Legge N. 470/88). Questo deve avvenire entro il termine di novanta giorni dal trasferimento di residenza al Consolato della circoscrizione di immigrazione. L’omissione dell’obbligo implica il trattamento del contribuente come se fosse ancora residente italiano.

A detta dell’Amministrazione finanziaria, il trasferimento della residenza anagrafica all’estero da parte di cittadini italiani si è rilevato un fenomeno in crescente aumento. Pertanto, il fenomeno è oggetto di particolare attenzione da parte dell’erario soprattutto al fine di distinguere le situazioni di trasferimento effettivo da quelle di un trasferimento meramente fittizio.

In questo senso, anche la Giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha mostrato un orientamento particolarmente rigoroso. Ed invero, nell’Ord. 22 giugno 2021| n. 17748/2021, la Cassazione ha ricordato come in tema d’imposte sui redditi, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 2 TUIR e dell’articolo 43 del codice civile, “deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all’estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali, come desumibile da elementi presuntivi ed a prescindere dalla sua iscrizione nell’AIRE.

Per l’effetto, deve ritenersi che la mera iscrizione nel registro AIRE non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio italiano il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali.

Si precisa però che, in ogni caso, fatta eccezione per lo spostamento della residenza nei Paesi presenti nella cd. “black list” (ossia, i Paesi a fiscalità privilegiata individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze), l’onere di provare che il trasferimento della residenza è soltanto fittizio in base ai predetti parametri spetta all’Agenzia delle Entrate e non al contribuente.

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