Il valore probatorio delle e-mail in giudizio

Nella maggioranza degli attuali contenziosi civili, le e-mail rappresentano una prova fondamentale che le parti possono produrre a supporto delle rispettive pretese. Del resto, la maggior parte delle comunicazioni oggigiorno avvengono in forma telematica, mentre lo scambio di corrispondenza cartacea è sempre più rara: con l’avvento di Internet e delle nuove tecnologie informatiche e telematiche sono cambiati radicalmente i concetti di comunicazione, informazione e transazione.

 

La questione relativa al valore probatorio della e-mail è sempre stata problematica. La legge italiana stabilisce che soltanto le “scritture private”, ossia i documenti sottoscritti da una parte, fanno piena prova dei fatti e delle cose rappresentate nei confronti dell’altra parte, se questa non ne disconosce l’autenticità della sottoscrizione (v. art. 2702 c.c.). Questo vuol dire che chiunque, per far valere una pretesa in giudizio, potrà provare una circostanza sfavorevole alla controparte producendo un documento firmato da quest’ultima. La controparte, nel caso in cui la firma fosse falsa, potrà contestare in giudizio l’autenticità della sottoscrizione, e dunque del documento.

 

La stessa efficacia probatoria è attribuita però alle riproduzioni meccaniche (es. fotocopie), se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità all’originale (v. art. 2712 c.c.): ossia, se la controparte non prova che la copia in realtà non corrisponde al documento originale.

 

Sulla base di questa normativa sembrerebbe allora che le mail, in particolare se non firmate digitalmente, non potrebbero avere questa efficacia probatoria in giudizio. La Corte di Cassazione italiana, però, ha recentemente assunto una posizione diversa.

 

Con l’Ordinanza n. 11606/2018, la Suprema Corte ha statuito infatti che “la e-mail costituisce un ‘documento informatico’, ovvero un ‘documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti’. L’e-mail, pertanto, seppur priva di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche, ovvero fra le rappresentazioni meccaniche indicate, con elencazione non tassativa, dall’art. 2712 c.c. e dunque forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale viene prodotta non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime”. Ciò vuol dire che chi agisca in giudizio per far valere i propri diritti potrà provare i fatti a fondamento della propria domanda anche attraverso la produzione di e-mail, che faranno piena prova di quanto in esse contenuto se la controparte non ne contesti la veridicità, fornendo prova della circostanza che quanto in esse contenuto non corrisponde al vero.

 

Nel caso menzionato, la Corte sulla sola base di e-mail allegate (di cui non è stata contestata la provenienza ed il contenuto) ha ritenuto provata l’esistenza di un rapporto contrattuale di fornitura tra due imprese nonché di un credito a carico di un’azienda per un mancato pagamento a fronte di un ordine.

Si assiste dunque ad una piena assimilazione probatoria tra la fotocopia di un documento sottoscritto da una parte, ed una semplice e-mail priva di firma digitale.

 

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