Conformità al diritto del lavoro: indagine sugli accordi di non concorrenza in Cina, India, Italia e Vietnam.
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Navigare nell’intricato panorama degli accordi di non concorrenza richiede una comprensione sfumata dei termini e delle condizioni che ne determinano la validità, in particolare all’interno dei quadri giuridici di diverse giurisdizioni. Questi accordi, fondamentali per salvaguardare gli interessi di un’azienda dopo la fine del rapporto di lavoro, operano all’interno di un panorama normativo distinto, plasmato da leggi e regolamenti unici per ogni Paese. Approfondendo i termini e le condizioni specifiche che rendono validi gli accordi di non concorrenza in queste diverse giurisdizioni, ci proponiamo di svelare le complessità e le variazioni esistenti nelle considerazioni legali, negli obblighi contrattuali e nei fattori contestuali che ne determinano l’efficacia. Questo articolo intraprende un’esplorazione comparativa, concentrandosi sulle giurisdizioni di Cina, India, Italia e Vietnam.
CINA
In Cina, le norme che regolano la validità degli accordi di non concorrenza post-impiego per i dipendenti sono chiaramente definite. In particolare, tali accordi possono essere applicati solo a (1) dirigenti di alto livello, (2) tecnici di alto livello e (3) altri dipendenti soggetti a vincoli di riservatezza in virtù del loro accesso a specifici segreti tecnici o commerciali dell’azienda.
Alla luce di quanto sopra, il datore di lavoro e il dipendente devono concordare esplicitamente la portata, le limitazioni geografiche e la durata (fino a un massimo di due anni) degli obblighi di non concorrenza. Questo accordo può essere stabilito attraverso un patto di non concorrenza separato o all’interno di clausole di non concorrenza incorporate nel contratto di lavoro.
Indipendentemente dall’esistenza di un accordo formale, l’efficacia degli obblighi di non concorrenza dipende da due condizioni: (i) il datore di lavoro deve richiedere espressamente l’applicazione degli obblighi di non concorrenza, e tale richiesta deve essere presentata non oltre la cessazione del rapporto di lavoro; (ii) per l’adempimento degli obblighi di non concorrenza, il datore di lavoro deve fornire una retribuzione mensile per tutto il periodo di durata della non concorrenza.
Nei casi in cui non vi sia un accordo esplicito sulla retribuzione di non concorrenza, i tribunali seguiranno le linee guida stabilite dalla Corte Suprema del Popolo. Secondo queste linee guida, il compenso economico dovrebbe essere quello più basso tra il 30% del salario mensile medio del dipendente nei dodici mesi precedenti alla cessazione del rapporto e il salario minimo locale per il periodo corrispondente. Il calcolo della retribuzione media include i bonus e le indennità fisse concesse durante quel periodo. Inoltre, nel determinare l’importo della retribuzione economica si deve tenere conto delle normative locali.
INDIA
Anche secondo le leggi indiane, la posizione legale sulle clausole di non concorrenza è molto chiara. La sezione 27 dell’Indian Contract Act, 1872 (di seguito “Act”), prevede che qualsiasi accordo con il quale si impedisce a qualcuno di esercitare una professione, un mestiere o un’attività commerciale di qualsiasi tipo sia nullo, a meno che non rientri nelle ristrette eccezioni previste dall’Act. La validità delle clausole di non concorrenza nei contratti è soggetta a determinate eccezioni. La Corte indiana ha chiaramente stabilito che i patti negativi possono essere applicati a condizione che siano ragionevoli e che lo scopo di tali patti sia quello di proteggere i legittimi interessi del datore di lavoro. Pertanto, il datore di lavoro può far valere tali clausole di non concorrenza e trattenere il dipendente solo durante il periodo di impiego dello stesso.
Pertanto, qualsiasi obbligo di non concorrenza che si estenda oltre la durata del rapporto di lavoro è nullo e inapplicabile secondo le leggi indiane. La validità di queste clausole di non concorrenza oltre il periodo di lavoro è controversa, in quanto il principio di fondo è quello di salvaguardare gli interessi del dipendente per consentirgli di esercitare a suo piacimento un’attività commerciale e professionale lecita. Tuttavia, quando al dipendente viene corrisposto un compenso monetario in considerazione della clausola di non concorrenza, può essere possibile richiedere una parte ragionevole del beneficio monetario in caso di perdita dovuta alla violazione dell’obbligo di non concorrenza.
ITALIA
In Italia, il quadro normativo che regola i patti di non concorrenza per i dipendenti è delineato dall’articolo 2125 del Codice Civile, come interpretato dalla relativa giurisprudenza. Le disposizioni citate specificano che tali patti sono validi solo se rispettano i seguenti requisiti: (i) prevedere una retribuzione di non concorrenza commisurata alla portata delle limitazioni imposte al dipendente attraverso il patto; (ii) essere stipulato per iscritto; (iii) determinare chiaramente l’ambito delle attività precluse e la validità territoriale del patto (che non deve essere di entità tale da precludere qualsiasi impiego della professionalità del lavoratore); e (iv) essere stipulato per non più di cinque anni (per i dirigenti) o tre anni (per gli altri dipendenti) dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Non è previsto alcuno standard normativo chiaro per la determinazione della remunerazione del patto di non concorrenza. La giurisprudenza in materia chiarisce che tale remunerazione deve essere “commisurata alla portata delle limitazioni imposte al dipendente attraverso il patto” ed essere “determinata”, ma non suggerisce uno standard adeguato. In pratica, una remunerazione pari a circa il 30% della retribuzione annua lorda è normalmente considerata equa, a condizione che la percentuale effettiva vari in relazione alla portata delle limitazioni territoriali e/o operative imposte al dipendente.
Al contrario, non esiste una regola fissa che disciplini le modalità e i tempi di erogazione della retribuzione. L’accordo può prevedere il pagamento contestuale alla retribuzione per tutta la durata del rapporto di lavoro o il pagamento in un’unica soluzione alla sua cessazione. Mentre una parte della giurisprudenza ha contestato la legittimità del pagamento del compenso di non concorrenza insieme alla retribuzione mensile, la giurisprudenza più recente (quale ad esempio, Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 23418/2021) ha convalidato il pagamento del compenso di non concorrenza insieme alla retribuzione mensile durante la durata del rapporto di lavoro, a condizione che sia inclusa un’adeguata “retribuzione minima garantita”, indipendentemente dalla durata effettiva del rapporto di lavoro.
VIETNAM
Per quanto riguarda i termini e le condizioni per la validità di un Accordo di non concorrenza in Vietnam in seguito alla cessazione di un rapporto di lavoro, è importante notare che né il Codice del lavoro né altre leggi e regolamenti vietnamiti forniscono disposizioni esplicite o standard precisi per tali accordi. In genere, questi accordi sono considerati separati dal Contratto di lavoro e sono regolati dal Codice civile.
Alla luce della giurisprudenza in materia, come esemplificato dalla sentenza n. 09/2010/LD-ST, la validità di questi accordi può essere messa in discussione a meno che non vengano applicati al personale che svolge un ruolo chiave e che abbia seguito una formazione, possieda qualifiche avanzate, sia pienamente consapevole dei propri diritti e responsabilità e accetti volontariamente di sottoscrivere il patto di non concorrenza.
In caso di violazione del contratto da parte di un dipendente, il datore di lavoro dovrà quantificare e dimostrare le perdite effettive subite davanti al giudice. Il risarcimento richiesto dal datore di lavoro deve corrispondere all’importo della perdita causata dalla violazione del dipendente.